La fraternità (mancata) con le altre bestie

[Immagine tratta da www.inarzignano.it.]

È passato ormai un secolo da quando Darwin ci dette un primo assaggio dell’origine delle specie. Oggi sappiamo ciò che era sconosciuto a tutte le carovane delle precedenti generazioni: che nell’odissea dell’evoluzione gli uomini non sono che i compagni di viaggio delle altre creature. Questa nuova conoscenza dovrebbe averci dato, in questo lasso di tempo, un sentimento di fraternità con le altre bestie: un desiderio di vivere e di lasciar vivere, un senso di meraviglia per la vastità e la durata dell’impresa biotica.
Soprattutto avremmo dovuto sapere – un secolo dopo Darwin – che l’uomo, sebbene ora sia il capitano di questa nave avventurosa, non e certo l’unico oggetto della sua ricerca, e che le sue precedenti convinzioni in merito erano semplicemente dettate dall’umano bisogno di trovare una luce nel buio.
Avremmo dovuto pensare a tutto questo. Purtroppo, temo che pochi di noi lo abbiano fatto.

(Aldo LeopoldPensare come una montagna. A Sand County Almanac, traduzione di Andrea Roveda, Piano B Edizioni, 2019, pag.121; ed.orig.1949.)

La bellezza delle montagne come preziosa speranza, in questo mondo difficile

[La Val Morteratsch, Engadina, Svizzera. Foto di Matthias Speicher su Unsplash.]
Viviamo in un mondo difficile, sconvolto da guerre atroci e da troppe tragedie, in balìa di un cambiamento climatico che chissà a quali conseguenze ci sottoporrà, scosso e confuso da innumerevoli criticità e altrettante variabili che deprimono la nostra fiducia nel futuro. Non ci restano molte certezze sulle quali fare affidamento, ma una che abbiamo sicuramente a disposizione è il mondo stesso cioè la Natura, la bellezza dei tanti luoghi e dei paesaggi che ce la sanno donare a profusione: le montagne, ad esempio.

Ecco, anche per questo motivo, forse soprattutto per esso, dovremmo avere sempre la massima cura di questa preziosa bellezza. Per ciò dovremmo continuamente manifestare verso di essa attenzione, sensibilità, competenza ed evitare di degradarla e rovinarla con azioni, opere, progetti e immaginari decontestuali e impattanti, quando non palesemente scriteriati, come molti di quelli che alle montagne si vorrebbero imporre. L’elenco è lungo, lo sapete bene: un elenco che sarebbe da ridurre e cancellare depennando una alla volta ogni sua singola voce, quando si riferisca a opere che quella bellezza la trasformano in bruttezza sia dal punto di vista materiale – a danno del territorio e del paesaggio, appunto – sia da quello immateriale, nella visione perversa e pericolosa attraverso la quale guardano alle montagne imponendo quelle opere.

[Sbancamenti nel comprensorio sciistico di Ovindoli-Monte Magnola, Abruzzo, Italia. Al riguardo ne ho scritto qui. Immagine tratta dalla pagina Facebook di Stefano Ardito.]
Non possiamo sprecare così stupidamente questo patrimonio di bellezza che le montagne ci donano: è veramente quella che – con poche altro, ribadisco – può salvare il mondo. Ma affinché lo possa fare sta a noi salva(guarda)rla, prima: godendone con attenzione, rispetto, cura, consapevolezza. È un dovere che abbiamo perché al contempo è un diritto: avere cura delle montagne per godere della loro bellezza. E per molti aspetti è pure una garanzia per il nostro futuro. Che non possiamo sciupare dato che, appunto, non ne abbiamo molte altre.

Praticare attività outdoor, rigenerare luoghi, fare comunità. A Milano, domenica, ore 12.00

Cosa significa praticare outdoor oggi? Come rigenerarsi attraverso pratiche che ci mettono a contatto diretto con la natura e i luoghi? In che modo si può fare comunità a beneficio dei territori?

Sono alcune delle domande che porremo a tutti i presenti e che affronteremo in “Rigenerarsi: outdoor e comunità” il talk di apertura del secondo appuntamento di Spore, domenica 12 maggio alle ore 12.00 presso e/n enoteca naturale di Milano.

Una chiacchierata libera e aperta a tutt* con Nina Schultz e Sofia Blu Cremaschi di Slipmode, Davide Branca di The Outdoor Manifesto e Agnese Moroni di Protect Our Winters Italy. Modera Luca Rota, che sarei io.

Sarà una gran bella cosa, ve l’assicuro. Per altre infos al riguardo, date un occhio qui.

Come poter risolvere il “problema lupo” sulle nostre montagne se per farlo si sostengono palesi fake news?

[“Zagor” nr.536, marzo 2010.]
P.S. – Pre Scriptum: il testo che potete leggere è di una lettera che ho inviato alla redazione del quotidiano “La Provincia di Lecco”, sul quale domenica 5 maggio è apparso l’articolo (lo vedete qui sotto) che è l’oggetto delle mie considerazioni. Ciò nell’ottica solita di favorire il dibattito più franco, obiettivo e onesto, dunque costruttivo, sul tema in questione così come su ogni altro: qualcosa di cui abbiamo costantemente bisogno, e in modi crescenti.
Buona lettura.

La «minaccia del lupo sugli alpeggi» e le fake news (istituzionali) che la rendono ancora più grave

Qualche giorno fa a Casargo si è svolto l’incontro dal titolo “La minaccia del lupo sugli alpeggi” dedicato, come il titolo rende chiaro da subito, al ritorno del lupo sulle nostre montagne e alla problematica presenza nelle zone antropizzate, ove operano diversi allevatori con i loro animali; la vostra testata ne ha riferito qui. È un tema parecchio dibattuto, inutile rimarcarlo, anche se troppo spesso attraverso modalità eccessivamente polarizzate sulle due posizioni maggiormente contrapposte, quella che propugna la più estesa salvaguardia del lupo e l’altra che mira a supportare in maniera altrettanto estesa l’attività degli allevatori. Su tali posizioni per giunta si innesta – tradizione nostrana del tutto deprecabile – la strumentalizzazione politica, così che il dialogo tra le parti, qualsiasi esse siano, diventa pressoché impossibile, con il risultato che al problema non solo non si trovano soluzioni ma se ne aggrava le conseguenze.

Ma c’è qualcosa di ancora più deleterio all’analisi del problema, in questo caso come in ogni altro simile: la diffusione di falsità. Ed è piuttosto desolante constatare che, nel caso dell’incontro di Casargo, a praticare questo infelice metodo è stato proprio il Primo Cittadino del comune, quando ha affermato che «Il lupo è stato introdotto con il denaro pubblico». Niente di più falso: come è chiaramente spiegato nel sito di Life Wolf Alps EU, il programma europeo di azioni coordinate per migliorare la coesistenza fra lupo e attività umane a livello di popolazione alpina, «in Europa nessun lupo, è stato mai catturato per essere poi spostato e liberato a scopo di ripopolamento. L’espansione del lupo in Italia negli ultimi quarant’anni è frutto solo ed esclusivamente di dinamiche naturali della specie.» E se qualcuno, vedendo che si tratta di un progetto europeo, per parteggiamenti politici pensasse che ciò non sia vero, sappia che anche il sito della Provincia Autonoma di Trento, notoriamente su posizioni piuttosto “decisioniste” contro la presenza dei grandi carnivori sulle Alpi, mette ben in chiaro da subito la stessa verità, chiarendo che «La ricolonizzazione del lupo sulle montagne trentine è peraltro inserita in un fenomeno che sta avvenendo su scala addirittura continentale: in buona parte d’Europa si sta verificando un rapido e diffuso ritorno della specie, dovuto alle migliori condizioni delle foreste rispetto al passato, all’abbondante disponibilità di specie preda (in particolare ungulati selvatici), al quadro normativo vigente e alla maggiore accettazione della specie da parte dell’uomo».

Obiettivamente quello del Primo Cittadino di Casargo sembra un atteggiamento alquanto discutibile e ben poco accettabile, venendo da un rappresentante delle istituzioni cioè del comune che per giunta ha patrocinato l’incontro in questione. Ogni posizione sul tema dibattuto è legittima e vagliabile, si possa essere d’accordo o meno con ciascuna di esse: il problema esiste e va gestito al meglio, per il bene di tutti i soggetti coinvolti, ma senza alcun dubbio per elaborare la migliore gestione di esso bisogna lavorare su dati certi e obiettivi, non su fake news che generano solo ulteriore confusione oltre che esacerbazione degli animi.

Ci si potrebbe chiedere cosa possa cambiare, che i lupi siano stati reintrodotti sulle Alpi o se siano in dispersione, al fine della gestione del problema: inutile dire che cambia uno dei punti di partenza fondamentale per l’elaborazione delle più efficaci soluzioni sistemiche al riguardo, visto che nello stesso incontro di Casargo si è messa in evidenza l’importanza di adottare «strategie territoriali» che sarebbero da strutturare si vari livelli, da quello che concerne la macro-area alpina fino alla scala locale, al fine di mettere in atto soluzioni perfettamente contestali ai territori e all’entità del problema in essi. Ovvio che cercare di costruire qualcosa su basi così inconsistenti non può portare a nulla di veramente utile.

C’è solo da augurarsi che il Sindaco di Casargo abbia affermato quanto sopra in maniera solo troppo avventata, senza prima informarsi sulla fondatezza delle sue convinzioni e, parimenti, che l’abbia fatto senza con ciò aver voluto scientemente manifestare posizioni ideologiche strumentalizzate che, come detto, sono tra gli elementi che più determinano l’attuale confusione sul tema e la mancanza di strategie risolutive efficaci – in questa come in molte altre questioni che concernono la realtà contemporanea dei territori montani. E, in fin dei conti, che renderebbero inutile e inaffidabile l’incontro svoltosi nel suo paese: cosa che, lo si può ben immaginare, chiaramente il sindaco di Casargo in primis non vorrà appurare. Ce ne sono già fin troppe di incertezze che gravano sul presente e ancor più sul futuro delle montagne: è (sarebbe) bene non aggiungerne altre.

Tra i migliori trenta architetti italiani

Sono molto felice di leggere che il sito web internazionale Architizer, con sede a New York e mission dichiarata di «celebrare la migliore architettura del mondo e le persone che le danno vita» ha incluso l’amico Enrico Scaramellini e il suo studio Es-Arch tra i migliori trenta studi di architettura italiani, in base a una classifica la quale considera alcune delle statistiche chiave che dimostrano il livello di eccellenza architettonica di ciascun studio.

È un riconoscimento meritatissimo per Scaramellini e non lo dico tanto io, che non conto granché, quanto la stima e l’apprezzamento che gode dentro e fuori il mondo dell’architettura nazionale e, appunto, internazionale. Ciò grazie a progetti e opere principalmente realizzate in territori montani (ne vedete alcuni lì sopra) dallo stile riconoscibile, emblematico, abili nel coniugare tradizione e innovazione in modi mai banali e sempre capaci di raccontare narrazioni dei luoghi e delle relazioni che danno loro vita, per le quali l’opera progettata rappresenta un ulteriore elemento di forza, di vivacità, di dinamismo spaziale e temporale.

La classifica è stata pubblicata ormai da qualche settimana ma ne parlo ora perché è imminente l’inaugurazione di uno degli ultimi progetti Es-Arch: la nuova palestra di arrampicata di Campodolcino (Valle Spluga, provincia di Sondrio; la vedete nelle immagini qui sotto). Un’opera estremamente suggestiva le cui forme, i volumi, le superfici dialogano con la morfologia delle montagne circostanti richiamando nelle proprie linee architettoniche e nei colori le relative peculiarità del paesaggio alpestre locale, al contempo risultando estremamente agile, quasi leggera nonostante l’apparente monoliticità, al punto da sembrare più contenuta di quanto in realtà sia.

Di nuovo complimenti vivissimi a Scaramellini, il cui personale cammino esplorativo sui sentieri e nei territori dell’architettura più bella e armoniosa prosegue disseminando cairn architettonici di mirabile fascino e grande valore culturale, sia per i luoghi e i paesaggi nei quali vengono inseriti che per chiunque se li ritrovi di fronte e li possa ammirare.